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MARCELLO AVERSA. IL RESPIRO DELLA TERRA

19 dicembre 2014 - 25 gennaio 2015
Chieti, Galleria delle Arti della Camera di Commercio, Corso Marrucino, 148

La grande tradizione del presepe napoletano e la meraviglia della miniatura che nel piccolissimo sembra poter contenere il mondo intero: c’è tutto questo nelle sculture di Marcello Aversa, sia nel grande presepe esposto presso la Cappella dell’Università Cattolica del Sacro Cuore (largo Gemelli 1, Milano) sia nelle opere esposte dal 19 dicembre 2014 al 25 gennaio 2015 nella Galleria delle Arti della Camera di Commercio di Chieti (Corso Marrucino, 148; inaugurazione giovedì 19 dicembre ore 18. Info 0871 354308 – www.ch.camcom.it).

La mostra Marcello Aversa. Il respiro della terra, organizzata da Crocevia – Fondazione Alfredo e Teresita Paglione e curata da Giovanni Gazzaneo, propone i raffinatissimi presepi dell’artista-artigiano di Sorrento, “scogli” su cui si abbarbicano i personaggi – alti solo pochi centimetri ma estremamente dettagliati ed espressivi – della storia della Salvezza. Marcello Aversa, nato nel 1966 a Sant’Agnello, nella penisola sorrentina, li modella nella creta pura, senza aggiungervi colori o smalti, infondendovi i riti, i costumi, “il sapore” della sua terra. E con una grande semplicità di mezzi lo scultore sa far rivivere tutta la ricchezza del presepe napoletano.

Accanto a Natività, adorazioni dei pastori e dei magi, le opere in mostra illustrano anche numerosi altri passi evangelici che culminano nella maestosa croce istoriata, chiamata Albero della Vita, recupero dell’antichissima tradizione del “presepe di Pasqua”.

Non c’è festa religiosa che abbia saputo coinvolgere a pari livello tradizione popolare – di più: familiare e casalinga – e il mondo delle grandi arti come il Natale. Il presepe, la scena della Natività nella grotta di Betlemme, vive con pari intensità nei cieli di carta stagnola dei nostri comò come nelle pale delle cattedrali. Per questo siamo onorati di poter ospitare nella Bottega d’Arte della Camera di Commercio di Chieti la mostra dedicata a Marcello Aversa, che nelle sue piccole grandi sculture sa raggiungere il miracoloso punto di contatto tra questi due universi. I suoi presepi, dalla narrazione intima e stupefatta, da focolare diremmo, hanno la stessa intensità estetica ed emotiva dei capolavori più celebrati.

C’è inoltre una sapienza del fare, una intelligenza della mano che lega queste opere al mondo del lavoro: è un’arte che non si vergogna, anzi si vanta di essere artigiana. La pazienza e la passione con cui Aversa costruisce nella creta, elemento dopo elemento, dettaglio dopo dettaglio, le sue straordinarie ambientazioni sono pari alla pazienza e la passione con cui ha costruito la sua carriera, esordita nelle botteghe di San Gregorio Armeno a Napoli. I piccoli presepi di Aversa ci ricordano come la grande virtù della speranza sia imbattibile se fondata sulla volontà e la capacità di fare. In questo ennesimo Natale di crisi non è un insegnamento da poco. Sulla povera capanna di Betlemme brilla ancora, sempre, una stella.

Silvio di Lorenzo Presidente della Camera di Commercio di Chieti

L’incontro di due protagonisti, il divino e l’umano: è questa la “storia” che il presepe racconta. Un racconto di cui c’è bisogno oggi almeno come ce n’era quando nel 1223 Francesco d’Assisi, per la prima volta, riprodusse nella grotta di Greccio la scena della Natività. Oggi come allora l’uomo ha bisogno di Dio: e oggi, forse ancor più di allora, c’è sete di un amore che vinca la “folla delle

solitudini” e stemperi l’accanirsi dei conflitti. “Fare il presepe” è perciò oggi più che mai un messaggio di pace e di speranza, un gesto d’amore, che può parlare al cuore di tutti. Marcello Aversa “plasma” così i suoi presepi: col tocco dell’artista trasforma la creta in racconto, rendendo visibile l’incontro che cambia il cuore e la vita. Il divino è rappresentato dalla scena che dà senso a tutte le altre: “il mistero”. Essa comprende le figure del Bambino, di Maria e di Giuseppe, affiancati dal bue e dall’asinello, e la mangiatoia (praesepium), che dà il nome all’insieme. Che si sia di fronte al luogo in cui l’Eterno sta entrando nel tempo è indicato dal roteare degli angeli, impegnati a cantare la gioia del cielo che viene ad abitare la terra. L’umano è presente nella varietà delle sue espressioni: dai pastori, i poveri aperti alle sorprese di Dio, ai magi, figura di tutte le “genti” raggiunte dalla luce della stella, all’umanità indifferente e distratta, rappresentata dagli ospiti della locanda. In realtà è tutta la terra, rappresentata da quell’argilla plasmata dalla mano sapiente dell’artista, ad accogliere il Redentore del mondo: le intuizioni della più antica teologia cristiana, per la quale il Cristo è il centro e il fine del cosmo, sono presenti in questi presepi, diventando anche un invito alla spiritualità ecologica, sollecita della custodia del creato, come luogo in cui celebrare le lodi dell’Altissimo con l’opera dei giorni dell’uomo. È così che queste opere possono assolvere efficacemente al compito per cui nacque il presepe: dire il Vangelo “in dialetto”, in un modo, cioè, che sfidi le nostre paure e le chiusure del cuore, e sia annuncio di una gioia e di una speranza possibili, dischiuse oggi, per tutti, da quell’umile nascita.

Bruno Forte Arcivescovo di Chieti-Vasto

Il respiro della terra. L’opera di Marcello Aversa è tutta in quel respiro. Nel dare sostanza e vita a ciò che prima non era. Forma a un informe pugno di argilla.
Artigiano e insieme artista, umile come è umile la materia che plasma perché il Dio che si è fatto bambino possa tornare a farsi immagine e storia e luogo. Aversa prosegue la grande tradizione del presepe che vede in san Francesco, quasi otto secoli fa, l’iniziatore in quel di Greccio. E riaffiora il racconto di Tommaso da Celano: “Francesco quando voleva nominare Cristo Gesù, infervorato di amore celeste lo chiamava il bambino di Betlemme, e quel nome, Betlemme, lo pronunciava riempiendosi la bocca di voce e ancor più di tenero affetto, producendo un suono come belato di pecora. E ogni volta che lo pronunciava, passava la lingua sulle labbra, quasi a gustare e trarre tutta la dolcezza di quelle parole”. È la dolcezza del cuore innamorato. La stessa dolcezza traspare nei presepi che l’artista poco meno che cinquantenne crea nella sua Sorrento. Gli ingredienti: piccoli pezzi di argilla e una maestria fuori dal comune. L’esito: un magnifico “teatro” dove il gusto della realtà popolare si accompagna all’incanto della fantasia, e la fantasia non conosce limiti.

Aversa è l’erede più originale della tradizione del Settecento napoletano: ha fatto della miniatura la sua cifra, per meglio rispondere a Colui che da infinitamente grande sceglie di farsi infinitamente piccolo,

al Creatore che si fa creatura, all’Onnipotente che si fa figlio nel seno di una donna. Il microcosmo di Aversa è soprattutto un invito alla ricerca, a meravigliarsi a passo (o meglio a sguardo) lento, a soffermarsi su quei particolari che richiedono tempo e che altrimenti sfuggono. In questo esercizio di miniatore di terra, il dettaglio non si perde, ma viene esaltato come il mistero a cui rimanda. I suoi personaggi variano da otto millimetri a dieci centimetri e abitano uno scenario modellato in un unico blocco di creta, cotto al forno a quasi mille gradi. Una sfida di perfezione, per offrirci anatomie, espressioni, sentimenti, gesti: dall’angelo annunciante ai ballerini di tarantella, dai canestrai ai pastori, dai musicanti ai fornai, dagli avventori di una taverna al corteo dei magi che attraversa i ruderi del mondo pagano sconfitto da un bambino in una mangiatoia. Un paesaggio di venti centimetri può ospitare ottanta figure. L’infinitamente piccolo di Aversa è il grande mistero offerto sul palmo di una mano.

Giovanni Gazzaneo curatore della mostra